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Concluso il restauro del Laocoonte di Baccio Bandinelli

Concluso il restauro del Laocoonte di Baccio Bandinelli.

Lunedì 19 ottobre 2009 è stato presentato il restauro del Laocoonte di Baccio Bandinelli e dei marmi antichi Ercole Farnese e Cinghiale conservati nella Galleria degli Uffizi di Firenze. Ad un anno circa dall’inizio del cantiere di restauro, lo splendido gruppo marmoreo del Laocoonte, opera di Baccio Bandinelli tra le più suggestive della collezione della Galleria degli Uffizi, si ripresenta oggi in tutta la sua potente vitalità scultorea, quella stessa che l’ha reso nei secoli famoso e ammirato quasi quanto l’originale conservato nei Musei Vaticani.
I lavori di restauro hanno interessato anche i due marmi antichi che gli stanno ai lati nella testata del terzo corridoio, raffiguranti il Cinghiale e l’Ercole Farnese, provenienti dalle collezioni medicee, e sono stati resi possibili grazie al generoso sostegno economico dell’associazione Amici degli Uffizi e dei Friends of Uffizi Gallery Inc., che hanno contribuito all’intera operazione con un finanziamento di 160.000 euro circa.
Durante tutto questo periodo, il cantiere di restauro del Laocoonte è rimasto eccezionalmente ‘aperto’, schermato da pannellature trasparenti, per consentire ai visitatori di seguire lo stato di avanzamento dei lavori.

La storia e il restauro
Le indagini diagnostiche e le puliture successivamente eseguite sull’opera di Bandinelli, hanno permesso di chiarire ulteriormente sia la sua vicenda creativa che quella conservativa, fornendo risultati molto interessanti.
Come sappiamo, Baccio Bandinelli ricevette l’incarico nel 1520, dalla corte pontificia, di realizzare per Francesco I di Francia, una copia dell’originale ellenistico scoperto a Roma sul Colle Oppio, presso le Terme di Tito, il 14 gennaio del1506. L’opera raffigurava il sacerdote troiano che, secondo il racconto di Virgilio, si era opposto all’ingresso a Troia del cavallo di legno lasciato dai Greci di fronte alla città suscitando le ire di Atena e Poseidone. Due serpenti marini lo avvolsero fra le loro spire, uccidendolo insieme ai due figli, e segnando così la distruzione di Troia.
Lo stupore e l’interesse che il ritrovamento del Loacoonte suscitò presso i contemporanei è noto («…Tutta Roma die noctuque concorre a quella casa che li pare el jubileo»). Giuliano da Sangallo e Michelangelo, tra i primi a vederlo, lo identificarono immediatamente con quello di proprietà dell’Imperatore Tito (79-81 d.C.), che Plinio il Vecchio attribuiva agli scultori Agesandro, Atanadoro e Polidoro di Rodi. L’opera contribuì notevolmente a rivoluzionare la percezione dell'arte moderna e non ci fu artista in Roma, anche di passaggio, che mancasse di studiarla.
A Bandinelli fu anche chiesto, come testimoniano le Vite del Vasari, di realizzare in cera il braccio destro mancante del sacerdote della scultura originale. L’artista ebbe la possibilità di lavorare nel Belvedere vaticano, dove il Loacoonte era stato collocato. A meno di un mese dall’incarico, il cartone per l’opera era già pronto. Baccio si ispirò solo formalmente all’originale e, nonostante la disapprovazione di Michelangelo, scelse di utilizzare tre blocchi di marmo. Terminata nel 1525, sotto il papato di Clemente VII, Giulio de’ Medici, la scultura riporta sul piedistallo un rilievo raffigurante l’impresa del papa: una sfera trasparente attraversata da un raggio di sole che va a incendiare un albero retrostante, accompagnata dal motto “Candor illaesus”.
Il Laocoonte di Bandinelli non arrivò mai in Francia; Clemente VII ne fu così entusiasta che lo volle a Firenze, nel giardino di Palazzo Medici, in via Larga. Spostato successivamente nel Casino di San Marco, entrò nella Galleria degli Uffizi nel 1671.
L’incendio che scoppiò il 12 agosto 1762 nel terzo corridoio della Galleria e che ne causò il crollo del tetto, danneggiò pesantemente i marmi esposti tra cui il Laocoonte, frantumandolo in numerosi parti. Già all’epoca fu oggetto di un restauro eseguito dal Traballesi, restauro integrativo che terminò nel 1766.
La superficie del Laocoonte appariva, prima del restauro appena terminato, offuscata da strati di polvere e cera che, se da una parte celavano le vecchie stuccature e le macchie rosse causate dall’incendio, dall’altra ne impedivano una corretta lettura.
Le analisi condotte – documentazione fotografica a fluorescenza UV, calorimetria effettuata su aree selezionate prima durante e dopo la pulitura, spettroscopia in riflettanza mediante fibre ottiche nelle regioni UV-visibile-vicino infrarosso per caratterizzare i materiali, microspia ottica, spettroscopia FT-IR per la caratterizzazione di patine, stuccature ecc. – hanno consentito di effettuare una minuziosa pulitura dell’opera, con l’ausilio del laser, che ha restituito nitidezza e piena leggibilità a questo straordinario gruppo scultoreo.
Insieme al Laocoonte, l’intervento di restauro ha permesso di recuperare la corretta visione e la vibrante plasticità di altre due opere, provenienti dalle collezioni medicee.
La prima è il Cinghiale, probabile copia del I sec. d.C. di un bronzo di epoca ellenistica, che fu a sua volta modello per la celebre opera di Pietro Tacca, eseguita per la fontana del Mercato Nuovo, universalmente nota come il Porcellino. Proprio al fine di stabilire i rapporti di dipendenza fra l’opera seicentesca e il prototipo classico, è stata eseguita una minuziosa comparazione del modellato delle due opere, mettendo così in evidenza, grazie all’elaborazione di una sistematica mappatura digitale, l’apporto creativo del Tacca nella rielaborazione del modello. Anche questa scultura fu gravemente danneggiata dall’incendio del 1762. La pulitura e le stuccature eseguite per ripristinare la continuità della superficie, hanno evidenziato l’eccezionale resa naturalistica di questa “fiera selvaggia” donata a Cosimo I da Pio IV.
La seconda è la copia dell’Ercole Farnese, sempre del I sec. d.C., rappresentato al termine delle proprie fatiche, in atteggiamento di spossatezza e riflessione. Questa copia degli Uffizi è quella che replica con maggior fedeltà il modellato asciutto del perduto archetipo bronzeo, della fine del IV secolo a.C., senza tralasciare l’espressività del volto e della posa. Queste caratteristiche appaiono oggi evidenziate dalla preziosa operazione di pulitura condotta in maniera graduale e differenziata.


Gruppo marmoreo del Laocoonte di Baccio Bandinelli
Galleria degli Uffizi, Terzo Corridoio
Orario: dalle ore 8.15 alle 18.50, lunedì chiuso.
Informazioni: Welcome desk 055/213560 - 055/284034


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